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Promozione delle digital skill per rispondere alle richieste nel mercato del lavoro
Andrea Bigando, CMO
July 21, 2022
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Promozione delle digital skill per rispondere alle richieste nel mercato del lavoro

Una crisi differente sta colpendo in questo momento il mercato del lavoro; non la solita assenza di posti, o una crisi dei contratti (problemi comunque sempre presenti e gravi). Quello che negli ultimi tempi si riscontra è un gap incisivo tra domanda e offerta; non tanto da un punto di vista quantitativo ma, nella fattispecie, dal lato qualitativo.

Mai come in questi anni nel mercato del lavoro alcune figure professionali faticano a essere individuate. Ma quali sono le cause di questa problematica? Scopriamolo insieme.

Una crisi differente sta colpendo in questo momento il mercato del lavoro; non la solita assenza di posti, o una crisi dei contratti (problemi comunque sempre presenti e gravi). Quello che negli ultimi tempi si riscontra è un gap incisivo tra domanda e offerta; non tanto da un punto di vista quantitativo ma, nella fattispecie, dal lato qualitativo.

Se da un lato il livello generale di occupazione scende, dall’altro alcune figure professionali, legate specialmente al mercato del lavoro digitale, stanno diventando estremamente complesse da trovare. C’è da capire se questo mismatch è dovuto a un‘effettiva mancanza di skill specifiche nella generazione dei neo-lavoratori o se, complessivamente, l’offerta di figure non riesce a star dietro allo sviluppo del mercato.

Un mercato UE che non riesce a far fronte alla richiesta

La situazione attuale del mercato del lavoro in Europa è, per quanto eterogenea e difforme nel complesso, non troppo confortante.

Se prendiamo in esame quattro paesi centro-europei, che ricoprono sia lo spettro dell’economia mediterranea, sia quella nord-europea, ossia Svizzera, Italia, Francia e Germania, diventa più semplice disegnare un quadro generale. Si tratta, comunque, di quattro realtà che sono vicine tra di loro sia geograficamente che, per alcuni versi, culturalmente.

I dati raccolti mostrano che a livello Europeo ci sono stati due diversi tipi di calo occupazionale: uno relativo al numero di persone impiegate, l’altro riguardante le ore lavorate complessivamente.

Se in media il livello delle persone occupate (fascia 14-65 anni) è calato di circa 6 punti percentuali, il numero di ore lavorate ha avuto una diminuzione più esigua, sebbene comunque preoccupante (circa lo 0,5%). I dati relativi all’occupazione giovanile (fascia 16-24 anni) sono in media non troppo positivi (se si eccettua la Svizzera, con il 60% di giovani occupati). Un altro dato interessante è che in entrambe le due categorie d’età si nota una differenza, seppur non sostanziale, tra una fascia “mediterranea” (Francia e Italia) e una “continentale” (Svizzera e Germania); il dato non è certamente nuovo, e ha radici sociali e antropologiche che affondano molto indietro nel tempo.

Nonostante le percentuali in discesa negli ultimi due anni, dovute soprattutto alla situazione pandemica, si nota un dato in crescita: la richiesta di figure professionali digitali.

Necessità di riplasmare le proprie skill in ottica digital

Questo shift di richieste è una conseguenza diretta dell’evoluzione del mercato; il passaggio a un’economia sempre più dematerializzata, che si realizza quasi all’80% su internet, ha reso sempre più alto il bisogno di specialisti nelle varie professioni digitali. Questo cambio porta con sé diverse micro-rivoluzioni sociali; il sistema educativo nel tempo dovrà uniformarsi a questo genere di formazione, anch’esso dematerializzandosi il più possibile. Le dinamiche d’interscambio e di relazione stanno profondamente mutando; non si intaccano tuttavia i rapporti personali (il workflow online rende più necessari i rapporti fisici fuori dall’orario lavorativo).

Le nuove figure richieste dal mercato digitale

La crescita esponenziale di questo mercato ha richiesto la creazione (o in alcuni casi l’evoluzione o adeguamento) di diverse figure professionali; si tratta delle tanto ricercate professioni digitali. Non solo però; anche altri tipi di professionisti, non sempre radicalmente legati al mercato IT, stanno vedendo il proprio campo d’impiego in espansione.

Il ritorno a quello che viene oggi definito new normal, ossia la ripresa dei ritmi di lavoro e di vita post-pandemia, ha confermato e accelerato un risultato che in molti avevano pronosticato: il futuro e il presente del mercato del lavoro sono, essenzialmente, digitali.

Tra le figure professionali da implementare il prima possibile in azienda, ne abbiamo individuate alcune che, per la loro peculiarità, possono segnare la differenza tra una realtà mediocre e una che sta, letteralmente, cavalcando l’onda della digital wave:

  • Content Strategist – “content is king”: in tanti abbiamo letto e riletto questa famosa formula. Beh, è sempre vera: il moltiplicarsi di piattaforme e realtà la rende fluida e polifunzionale, e un professionista che sappia declinare messaggi e linguaggi adeguandosi ai nuovi mezzi è una figura oggi irrinunciabile
  • Growth Hacker – tra le figure più interessanti e più richieste, specie per start up e ambienti in forte crescita, si tratta di un professionista del marketing che spinge sulla crescita del business puntando su strategie non convenzionali. Ci si allontana dai meccanismi e paradigmi classici, si azzarda, si misura, si ripete
  • UX Designer – l’esperienza dell’utente, al momento di offrire un servizio, è il perno della buona riuscita del proprio business. Che si tratti di offrire una soluzione fisica o un prodotto digitale, la reazione e l’usabilità lato user sono allo stesso tempo il mezzo di comunicazione più importante e la metrica migliore per giudicare e tarare le proprie performance
  • People Specialist – la presenza di un responsabile delle risorse umane non è più quella di un mediatore di conflitti, recruiter o compilatore di buste paga; si tratta sempre di più di una figura cardine nel panorama corporate: employee experience è il focus nella gestione dei rapporti umani a livello corporate

Il dato più interessante con cui abbiamo a che fare costantemente è questo: l’università, ma in generale il mondo della formazione, ancora non si è adeguata completamente alle richieste di mercato.

Ecco dove sta il gap: qualità, non quantità

Questo non significa che studiare sia inutile; una preparazione accademica di base è nella maggior parte dei casi fondamentale.

È anche vero però che una parte significativa delle skill richieste dalle aziende oggi è essenzialmente legata alle esperienze personali. Tutto questo genera un paradosso abbastanza problematico; se da una parte si richiedono ai giovani lavoratori competenze che difficilmente l’università riesce a fornire, dall’altra non si da l’opportunità di maturarle perché è richiesta più esperienza. Risulta chiaro che, in questo clima di mismatch delle skill, molti giovani non riescono a inserirsi nel mercato del lavoro, e molti recruiter falliscono nel trovare personale adeguato.

Un fattore su cui puntare è il contatto diretto con le risorse da selezionare; la valutazione delle hard e soft skills infatti deve passare per una sorta di “verifica” diretta.

Un CV può certamente raccontare tanto, e darci le informazioni necessarie a una prima scrematura; a volte però bisognerebbe andare oltre il curriculum e verificare alcune sensazioni che, magari da un messaggio o da una chiamata, hanno fatto trasparire un talento che non si è espresso totalmente nel descriversi.

Ecco quindi che un laureato in economia con la passione per l’informatica che diventa IT manager, un traduttore che ama la scrittura diventa SEO copy, un ex contabile che dirige la logistica: a volte le combinazioni sono curiosamente interessanti, ma aiutano a capire come le dinamiche di recruiting di molte HR siano ancora troppo legate al documento e meno alla risorsa.

Formazione continua e collaterale

Un consiglio importante che si può dare alla nuova generazione di lavoratori e neolaureati è questo: le aziende non cercano solo il titolo; molte skill trasversali, o tante competenze primarie ormai, possono essere tranquillamente acquisite in autonomia, approfittando e approfondendo le nuove conoscenze richieste dal mondo digitale.

Fare tesoro di corsi online, webinar, MOOC e studio; puntare sul personal branding e mostrare in maniera pratica e diretta il proprio valore. Dimostrare, infine, quanto il proprio know-how sia fondamentale per l’azienda per cui si applica: questi sono solo alcuni piccoli segreti.

Per i recruiter: andate oltre il CV, le competenze vanno testate, non raccontate.